Partito di Alternativa Comunista

Nelson Mandela: dalla lotta alla capitolazione

Nelson Mandela: dalla lotta alla capitolazione

 

di Alejandro Iturbe (*)

 

Il 5 dicembre scorso è morto Nelson Mandela, leader della popolazione nera sudafricana, ex presidente di quel Paese e, senza dubbio, una delle personalità più spiccate della politica internazionale del secolo XX. 

Milioni di neri sudafricani piangono la morte del loro amato leader e lo fanno anche moltissimi militanti neri, tantissime persone che lottano per le libertà democratiche in tutto il mondo. 

Comprendiamo e rispettiamo questo dolore: per tutta una parte della sua traiettoria politica Mandela era visto come il simbolo della lotta contro l'apartheid, il violento regime politico adottato per decenni dalla borghesia bianca sudafricana. Con tutte le sue limitazioni, Mandela ha il gran merito di avere collocato la lotta contro l'apartheid in primo piano nella politica internazionale. 

Tuttavia, contemporaneamente, oggi gli rendono omaggio tutti i rappresentanti dell'imperialismo, propulsori e difensori dello sfruttamento e dell'oppressione, come Obama, Merkel, Cameron, Rajoy e così via. Come è possibile che una figura politica sia venerata dalle masse oppresse e, contemporaneamente, omaggiata dai loro peggiori nemici? Quell'apparente paradosso si dà per una ragione profonda: l'imperialismo l'omaggia perché stima l'importanza che ebbe l'azione di Mandela nel deviare la rivoluzione nera e mantenere il Sudafrica nelle cornici del capitalismo, nel convincere le masse nere ad accettare che gli stessi dirigenti razzista afrikáners uscissero impuniti per i crimini commessi e che la borghesia bianca continuasse a controllare le redini del Paese. 

Per capire come è avvenuto questo processo è necessario vedere la storia del Sudafrica ed i meccanismi che misero fine all'apartheid, e il ruolo che ebbe Mandela durante la sua traiettoria politica. Per quel motivo, rispettando il dolore delle masse davanti alla sua morte, vogliamo esprimere la nostra posizione, senza l'ipocrisia che molte volte si esprime davanti alla morte di una figura politica. 

 

L'apartheid 

Il Sudafrica ha quasi 50 milioni di abitanti ed è il Paese più sviluppato ed industrializzato del continente africano. L'asse della sua economia è l'attività mineraria, specialmente l'estrazione di oro, diamanti e platino (è il principale produttore mondiale di questo metallo). 

Il Paese soffrì due colonizzazioni bianche: una di origine inglese ed un'altra olandese che diedero origine ai cosiddetti afrikáner. Gli afrikáner guadagnarono il predominio e, a partire da 1910 cominciarono a costruire il regime dell'apartheid nella quale i neri non avevano voto né alcun diritto politico. Questo sistema fu completato nel 1948. 

Come parte di questo sistema si formarono vere aberrazioni giuridiche, i bantustanes (come il Lesotho), supposte repubbliche nere "indipendenti" dalle quali i suoi abitanti potevano uscire solo con permessi speciali, perfino per andare a lavorare giornalmente. Se trasgredivano questi permessi erano duramente repressi. 

I livelli di sfruttamento della popolazione nera erano vicini allo schiavitú: questa popolazione viveva in gigantesche favelas o misere baraccopoli, delle quali la più famosa fu quella di Soweto, nelle vicinanze di Johannesburg, con quasi un milione di abitanti ammucchiati nelle peggiori condizioni, quasi senza alcun servizio basilare garantito. 

Fu su questa base di supersfruttamento e di un immenso apparato repressivo statale che la borghesia bianca sudafricana, consociata a capitali inglesi ed olandesi, costruì il suo potere e la sua ricchezza.  

 

La fine dell'apartheid 

La popolazione nera lottò duramente contro questa situazione, per i suoi diritti politici. Periodicamente, si verificavano rivolte che venivano represse con massacri selvaggi (tra le più famose, quella di Sharperville, nel1960, e quella di Soweto, nel 1976). 

Come parte della lotta contro l'apartheid, si fondò il Congresso Nazionale Africano (Anc) che, a partire dagli anni '50, comincia ad avere una crescita sempre più accelerata fino a trasformarsi nell'espressione politica e nella direzione della maggioranza della popolazione nera. Il suo dirigente più conosciuto e di maggiore prestigio popolare ed internazionale fu Nelson Mandela, che fu incarcerato tra il 1962 e 1990. Dalla prigione continuò a dirigere il movimento e, in quel periodo, guadagnò il suo gran prestigio e la sua influenza a livello nazionale ed internazionale. 

La lotta del popolo nero contro il regime dell'apartheid continuava a crescere e a radicalizzarsi sempre di più. Ed anche l'isolamento internazionale di questo regime. La sua caduta sembrava inevitabile ed esisteva la possibilità che questa lotta potesse spazzare via il regime per una via rivoluzionaria ed avanzasse sul cammino di una rivoluzione socialista del popolo nero che distruggesse le basi capitaliste della dominazione bianca. 

Esisteva la possibilità che le masse nella loro lotta rivoluzionaria espropriassero la borghesia bianca, che sarebbe stata in realtà l'espropriazione di quasi tutta la borghesia sudafricana. 

Davanti a quella situazione, e per frenare e controllare il processo rivoluzionario, una maggioranza della borghesia bianca sudafricana e l'imperialismo elaborarono il piano di una transizione che “smontasse” l'apartheid in modo ordinato e, contemporaneamente, garantisse loro il dominio economico, attraverso il mantenimento della proprietà delle imprese e delle banche. Le potenze imperialiste appoggiarono a fondo questo piano, di cui uno degli esecutori fu il vescovo nero Desmond Tutú, vincitore del Premio Nobel della Pace per questo servizio. 

Si diede forma ad un patto in base al quale, in cambio dell'eliminazione dell'apartheid, si sarebbero mantenuti il sistema capitalista e la dominazione economica borghese. Così, la borghesia bianca, si sarebbe allontanata dal controllo diretto dello Stato ed avrebbe accettato di trasferire questo ruolo all'Anc per mantenere la sua dominazione di classe. La borghesia, rispetto a questo piano, contò sulla collaborazione di Nelson Mandela, il quale fu liberato nel 1990 e negoziò con l'ultimo presidente, De Klerk, questa transizione del Congresso Nazionale Africano, della direzione della centrale sindacale nera (Cosatu) e del Partito Comunista sudafricano (stalinista, ndt) che cominciarono a frenare la lotta del popolo nero e parteciparono alle negoziazioni e alla transizione fino al 1994, quando Mandela fu eletto presidente. 

In altre parole, con questo patto, Mandela passò dall'essere il leader della lotta contro l'apartheid al capitolare alla borghesia bianca e all'imperialismo attraverso una transizione negoziata che non discutesse la struttura economico capitalista e di classe del Paese. 

 

Il ruolo dell'Anc 

Assumendo il controllo del regime e del governo post-apartheid, nel 1994, Mandela l'Anc cambiarono il loro carattere. Fino a quel momento, sebbene con le profonde limitazioni delle loro concezioni nazionaliste borghesi, erano stati l'espressione della lotta del popolo sudafricano contro l'apartheid. A partire da lì, si trasformarono negli amministratori dello Stato borghese sudafricano. A partire da quell'opzione, iniziarono una nuova alleanza con gli antichi nemici afrikáners. Per quell'alleanza, in cambio dei servizi prestati, i principali quadri e dirigenti dell'Anc si trasformarono in una borghesia nera, socia minore della bianca, che lucra coi commerci e i negoziati dello Stato. Per esempio, l'attuale presidente Jacob Zuma fu accusato di corruzione, nel 2005, quando era vicepresidente, per aver ricevuto un'alta commissione nell'acquisto di armamenti all'estero. “Vivono nelle stesse case e negli stessi quartieri dei bianchi”, si indignano i lavoratori neri vedendo l'arricchimento di questi dirigenti. 

È necessario dire che questa dinamica cominciò proprio con Mandela, che abbandonò la politica attiva nel 1999. Gli successero diversi presidenti dell'Anc, Thabo Mbeki e Jacob Zuma, che applicarono politiche sempre più neoliberali e di apertura all'entrata di capitali imperialisti. Per esempio, la maggioranza dei sudafricani chiesero la nazionalizzazione del settore minerario, in larga misura in mani straniere (l'impresa Lonmin, proprietaria della miniera Marikana, che ha conosciuto recentemente un grande sciopero ferocemente soffocato, ha la sua sede a Londra). 

 

Il Cosatu

Il Cosatu è la principale centrale sindacale sudafricana, costruita nella lotta contro l'apartheid ed in opposizione ai vecchi sindacati “solo per bianchi”. In quel periodo guadagnò il suo peso ed il suo prestigio. Era un esempio mondiale per la lotta dei lavoratori. 

Alleata, in realtà integrata, all'Anc, appoggia i suoi governi e le sue politiche. Questo ha reso grandi benefici ai suoi dirigenti, numerose cariche governative o parlamentari, ed anche nelle imprese private. Per esempio, l'ex-dirigente Cyril Ramaphosa, che fu leader della lotta dei lavoratori minerari e contro l'apartheid quando dirigeva il sindacato minerario nazionale (Num) e il Cosatu, è oggi socio-proprietario e membro del direttivo dell'impresa Lonmin. 

Non è casuale che sia sempre più numerosa l'avanguardia che esprime: “Anc e Cosatu non ci rappresentano" (vedere l'articolo di Wilson Silva, "L'apartheid neoliberale", sul sito della Lit), si cominciano a fondare nuovi sindacati indipendenti della Cosatu (che hanno dato vita allo sciopero di Marikana), ed a prospettare la costruzione di un'alternativa politica esterna all'Anc. 

 

La realtà attuale 

La fine dell'apartheid fu un gran trionfo del popolo nero sudafricano che, eliminando questo regime, ottenne libertà, diritti politici ed un sistema elettorale basato su “una persona-un voto”. Si eliminarono i bantustanes e, per la prima volta nella storia del Paese, il popolo elesse un presidente della sua etnia. 

Ma la struttura economica del paese non fu affatto toccata e continuò ad essere dominata dalla borghesia bianca che, ora, contava sul vantaggio di avere un regime e un governo neri per difendere i suoi interessi. Allo stesso tempo, la nuova borghesia nera approfittò dell'accesso dell'Anc al potere politico per accumulare forza economica e diventare parte della classe dominante in Sudafrica. 

Mantenendosi quella struttura economica, la disoccupazione nazionale è del 25 percento, ma tra i lavoratori neri arriva al 40 percento. Un 25 percento della popolazione vive con meno di 1,25 dollari giornalieri, considerato mondialmente il livello della miseria e della fame. 

A quasi venti anni dalla fine dell'apartheid, la borghesia bianca detiene grandi privilegi e ricchezze mentre l'immensa maggioranza del paese nero continua a vivere nella povertà e nella miseria. Ma la borghesia bianca ha ora come socia la borghesia nera che si è formata negli ultimi decenni. Quella disuguaglianza esplosiva è la base di una grande crescita della violenza sociale: ci sono 50.000 omicidi ogni anno, proporzionalmente 10 volte più che negli Usa. Mandela, avendo frenato la rivoluzione del popolo nero e avendo portato quella lotta alla strada senza uscita dei patti con la borghesia bianca e l'imperialismo, è il gran responsabile di questa realtà. 

È necessario fare un bilancio della strada percorsa da Mandela, che andò dalla lotta alla capitolazione. Crediamo che bisogna trarre conclusioni profonde. Negli anni '90, il popolo nero sudafricano ha ottenuto libertà e diritti politici che indubbiamente bisogna difendere. Ma ha continuato ad essere sottomesso al peggiore sfruttamento capitalista in beneficio di una minoranza bianca ed ora, anche, della nuova borghesia nera, formatasi a partire dai suoi ex dirigenti. Non ci sarà vera liberazione del popolo sudafricano senza distruggere le basi capitaliste di questo sfruttamento. È necessario lottare per il miglioramento delle condizioni di vita del popolo nero ma, per trionfare veramente, questa lotta deve avanzare sul cammino della rivoluzione operaia e socialista che liquidi lo sfruttamento di classe e razza che permane nel paese. 

Fu Mandela che ostacolò, con la sua capitolazione, che ciò poteva accadere a suo tempo. Per quel motivo, i borghesi sudafricani e gli imperialisti l'omaggiano. Da parte nostra, reiteriamo il rispetto per il dolore del popolo nero sudafricano e dei molti militanti che piangono la sua morte in tutto il mondo. Ma, per quell'immensa capitolazione, non gli rendiamo omaggio e richiamiamo questo popolo e questi militanti a trarre le necessarie conclusioni rispetto a quanto accaduto negli ultimi decenni in Sudafrica.

 

 

(*) Pstu Brasile

 

(traduzione dallo spagnolo di Mauro Buccheri)

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