Partito di Alternativa Comunista

Centocinquantesimo anniversario dell

Centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia

I LAVORATORI HANNO QUALCOSA DA FESTEGGIARE?

 

di Claudio Mastrogiulio

Il 2011 sarà l'anno del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia. Sono previste celebrazioni in grande stile, già si ascoltano proclami sul rinnovamento dell'unità nazionale. In un momento di crisi capitalistica così acuta, il nazionalismo sembra essere uno dei mezzi attraverso i quali le istituzioni borghesi tentano di imbrigliare il malcontento sociale.

Le considerazioni di quasi tutti i rappresentanti dei partiti politici seduti in Parlamento sono improntate al rilancio di parole d'ordine sostanzialmente nazionaliste. I moniti di Napolitano, circa un ricongiungimento nazionale in un momento così critico, hanno appunto questo obiettivo.

 

Cosa ha rappresentato l'Unità d'Italia

Entrando nel merito della vicenda storica, non possiamo esimerci dal tratteggiare il percorso che ha condotto al definitivo allargamento del regno sabaudo. L'Unità d'Italia ha rappresentato l'unificazione di un territorio da sempre diviso in piccoli Stati, a cui è andato correlandosi il saldamento degli interessi delle classi sociali che ne dominavano la vita politica, economica e sociale. Il blocco sociale che volle ed ottenne la conquista di un territorio statale complessivamente unitario (pur nelle sue macroscopiche differenze) fu quello composto dai proprietari terrieri del meridione e dagli industriali del settentrione d'Italia. Un blocco che vide dunque l'inizio del tramonto del ceto aristocratico e la definitiva affermazione della borghesia come classe sociale dominante e detentrice  del potere economico e politico.

L'Italia, infatti, pur mantenendo l'elemento monarchico all'interno del proprio quadro istituzionale, assegnò fin da subito il ruolo di legislatore al Parlamento. Un parlamentarismo che, nella miglior tradizione del gattopardismo risorgimentale, rappresentava un grande cambiamento formale nella rappresentazione istituzionale del nuovo soggetto unitario, ma che al contempo, nel vivo della realtà sociale ed economica del Paese, altro non esprimeva se non gli interessi della nuova classe dominante.

I primi anni di vita del Regno d'Italia, quelli che videro la formazione di governi guidati dalla cosiddetta Destra Storica, si caratterizzarono per il totale disinteresse delle condizioni di miseria e di malcontento che riguardavano larghe fasce delle masse meridionali. Sintomatico fu il fenomeno del brigantaggio, che impegnò la Destra Storica in una repressione feroce al fine di smantellare qualsiasi sacca di resistenza al nuovo ordine imposto.

Senza passare in rassegna le diverse fasi successive all'unificazione, quello che qui si tenta di evidenziare è il significato storico di questo avvenimento. Fuori da ogni tipo di mistificazione del fenomeno, è evidente come il processo di aggregazione in un unico soggetto statale abbia rappresentato il definitivo trampolino di lancio per la giovane e rampante borghesia italiana. Una borghesia che seppe immediatamente individuare quale fosse il vero pericolo per la cristallizzazione del proprio dominio: l'organizzazione del movimento operaio. Nel 1892 venne infatti fondato il Partito Socialista Italiano e di lì a qualche anno, precisamente nel 1906, nacque la Cgl (Confederazione generale del lavoro, l'attuale Cgil). Un pericolo enorme per la classe dominante, se si considera la radicalità del nascente movimento operaio italiano; già sul finire dell'Ottocento, infatti, il Paese venne scosso da numerose ondate di scioperi e manifestazioni di protesta contro le miserrime condizioni di vita dei lavoratori e delle masse popolari di tutto il territorio nazionale. Il culmine di questo fervente periodo di lotte sociali si ebbe nel 1898, a Milano, dove il generale Bava Beccaris, fece vigliaccamente aprire il fuoco sulla folla che reclamava pane e lavoro. Immediatamente dopo il massacro, vennero arrestati i militanti socialisti che avevano dato vita a quelle mobilitazioni, vennero chiusi i giornali di opposizione e le sedi dei partiti operai.

 

Nazionalismo ed imperialismo

Durante gli anni che videro al governo la cosiddetta Sinistra Storica (1876-1896), il nazionalismo del neonato aggregato unitario trovò la sua naturale traduzione nell'inizio dell'avventura colonialista in terra africana. L'obiettivo di questa politica espansionistica, che continuò anche con l'avvento al governo di Giolitti, non era solamente quello di accrescere il prestigio italiano sullo scacchiere internazionale, ma soprattutto quello di sviluppare il mercato interno favorendo le esportazioni verso i nuovi mercati. Lo sfruttamento a fini politici ed economici del sentimento patriottico ha anche un altro obiettivo, vale a dire quello di mitigare i conflitti di classe all'interno di un dato Paese. Creando ad arte sempre nuovi nemici, descrivendoli come le cause intime delle ingiustizie sociali di una nazione, offrendo la soluzione della conquista di nuovi territori per consentire ai connazionali "meno fortunati" di cercare fortuna nelle colonie, la borghesia tentò di trovare una soluzione a quanto veniva delineandosi all'interno della società italiana. Un capitalismo giovane ma già intriso delle contraddizioni sociali tipiche d'ogni sistema economico incentrato sui principi del dominio della borghesia avrebbe ravvisato solamente nelle conquiste imperialistiche una soluzione confacente alla tutela dei propri interessi ed alla conservazione dello stato di cose presenti. E così fu.

È sotto gli occhi di tutti il fatto che quello italiano fu un imperialismo che poco ebbe a che fare con quello che caratterizzò le grandi potenze occidentali. Ma rispetto a quest'ultimo presenta delle caratteristiche comuni, che sono poi quelle generali del fenomeno imperialistico mondiale, vale a dire la fusione del capitale finanziario col capitale industriale, oltre all'accrescimento dell'importanza acquisita dalle esportazioni di capitali in confronto con le esportazioni di merci. Anche in Italia, il fenomeno imperialistico ha rappresentato la conseguenza di una forte crescita economica che fece registrare notevoli tassi di sviluppo nel settore industriale e bancario.

 

La posizione dei marxisti rivoluzionari

Spogliato dal velo della mistificazione, abbiamo osservato come il fenomeno unitario italiano non fu altro che l'affermazione definitiva della borghesia nazionale sul fronte politico ed economico. Un avvenimento da cui il proletariato italiano non ha tratto alcun tipo di vantaggio alle proprie indicibili condizioni di vita. Da questo punto di vista, risulta dunque evidente come il nazionalismo, sotto ogni sua forma, celi degli specifici interessi di classe. La borghesia, per potersi affermare come classe egemone, aveva l'assoluta necessità di formare uno stato unitario, con una tendenza centralista che le consentisse di ramificare uniformemente il proprio dominio. Lo stadio successivo, caratterizzato da un capitalismo tendenzialmente monopolistico che ha travolto il liberismo puro di matrice cavouriana, è rappresentato dall'imperialismo.

A distanza di centocinquanta anni dall'unità d'Italia, il quadro non sembra essere mutato di molto. Il dominio della borghesia è ancora saldo: le politiche imperialistiche rappresentano la quotidianità degli affari esteri dei governi degli ultimi anni; le sacche di resistenza e di manifestazione del malcontento sociale vengono represse; lo strapotere dei colossi industriali e finanziari è evidente fino all'inverosimile; perfino la corruzione ed il malaffare sfacciato delle grigie figure che amministrano l'ordine capitalistico sembra essere lo stesso di quello di inizio Novecento. Appare dunque chiara l'assoluta attualità della lettura marxista dei fenomeni del nazionalismo e dell'imperialismo all'interno dell'ordine capitalistico borghese. Detta in altri termini: questa festa non è per i lavoratori.

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