Questo non vuole assolutamente dire che il programma di
Grillo abbia una qualche percentuale di progressività; ma al contrario denota
come le posizioni di tradimento di classe della sinistra governista abbiamo
preparato il terreno ad un’ondata di populismo qualunquista. La percentuale
maggiore del "target" di questo movimento è infatti riconducibile a settori
importanti di militanti delusi di quei partiti della sinistra che hanno
governato al servizio di Confindustria, del Vaticano e dei banchieri all’epoca
del governo Prodi. Molti di quei militanti sono finiti nella rete della retorica
populista del demagogo di turno che, dietro una fraseologia colorita e
pseudo-radicale, nasconde una progettualità politica del tutto accomodante nei
confronti dei cardini dell’attuale sistema economico-sociale. Proviamo ad
analizzare i pilastri del grillismo.
Il giustizialismo
Uno dei fulcri del ragionamento politico del
comico genovese consiste nello sventolare, come una soluzione ai problemi emersi
in piena crisi economica, un giustizialismo velleitario e inconcludente. Il
giustizialismo, con tutto ciò che ne consegue, è forse il più significativo dei
grimaldelli utilizzati da Grillo per accaparrare simpatie nella base militante
di sinistra. E' semplice constatare quanto il programma del comico sia moderato.
Giustizialismo non vuol dire, infatti, “giustizia sociale”, ma è per l’appunto
una degenerazione del secondo concetto. Il primo sta ad indicare una sorta di
idolatria delle leggi borghesi, con l’obiettivo di garantire la pace sociale
(secondo il principio “dura lex sed lex”); la seconda, al contrario,
inferisce una lotta radicale che rompa la pace sociale e possa permettere alle
masse oppresse di ottenere, in qualità di sottoprodotto della lotta stessa,
delle conquiste sociali.
Non è una distinzione secondaria. Al contrario, è
fondamentale per comprendere il moderatismo delle posizioni grilliane. Non
appartengono al lessico del comico né la lotta per il miglioramento delle
condizioni di vita e di lavoro di milioni di lavoratori, né le mobilitazioni
degli studenti per una scuola pubblica, laica, gratuita ed aperta a tutti;
diritto di cittadinanza trova soltanto la foga forcaiola nei confronti di
qualche servo sciocco colto con le mani nella marmellata. Secondo Grillo,
infatti, la soluzione al problema del malaffare e della corruzione consiste
semplicemente nel rivendicare l’obbligo di non superare le due legislature per i
parlamentari, oppure nell’aumentare le risorse alle forze dell’ordine. È
evidente quanto sia velleitaria questa prospettiva. Lo stesso Grillo non è così
ingenuo da non capire come la genesi di tutto questo stia nella struttura stessa
dell’economia capitalistica. È infatti del tutto legale, secondo le leggi della
borghesia, che Marchionne licenzi migliaia di lavoratori alla Fiat; che il 50%
della ricchezza prodotta in Italia appartenga ad un migliaio di famiglie, mentre
la restante metà appartenga a decine di milioni di lavoratori, precari e
disoccupati. È del tutto coerente col concetto di giustizia borghese il fatto
che muoiano sul lavoro, solo in Italia, oltre 1300 lavoratori all’anno; che la
Gelmini distrugga l’istruzione pubblica italiana; che il Vaticano incameri miliardi di euro attraverso i sovvenzionamenti pubblici come l’8 per
mille e la dispensa dal pagamento delle tasse come l’Ici. Potremmo andare avanti
all’infinito con le incongruenze che questo iniquo sistema sociale
quotidianamente partorisce. Al contrario Grillo ed i suoi adepti ritengono
assolutamente fondamentale svecchiare la “politica” italiana, con l’ingresso di
gente giovane che presenti presunte idee nuove. Parole vuote, se si pensa che i
contenuti sono questi. È la retorica del giovanilismo, che serve semplicemente
ad ingannare le masse, facendo loro credere che se a sfruttarle ci sarà qualcuno
col cognome diverso da quello che le ha sfruttate precedentemente, potrà
cambiare qualcosa.
Il qualunquismo
populista
Un altro carattere saliente del grillismo è
l’incredibile qualunquismo che connota i suoi interventi politici.
Il qualunquismo è, in bocca ad uno che
certamente non è un raffinato retore, il sottoprodotto dell’interclassismo.
Anche qui nulla di nuovo: nel momento in cui Grillo attacca i partiti politici
accusandoli di essere il cancro della “democrazia”, in realtà smaschera quello
che è il vero moderatismo del suo posizionamento politico. Dunque, se la
“democrazia” non funziona, la colpa è dei partiti.
È curioso ed al contempo significativo
osservare come i veri responsabili di tutte le diseguaglianze prodotte da questo
sistema economico non vengano minimamente presi in considerazione. Il Vaticano,
Confindustria, la Banca d’Italia, l’Ue, la Bce, il Fmi, sono totalmente
dimenticati da Grillo; quasi che la sua unica preoccupazione fosse quella di
accreditarsi agli occhi di queste stesse istituzioni come il portatore di idee
nuove che possano permettere loro di dormire sonni ancor più tranquilli.
L’attacco, peraltro del tutto moderato (come abbiamo cercato di dimostrare nelle
righe che precedono), è rivolto dal comico solo nei confronti degli esecutori
materiali (i politici) dei precetti impartiti da menti mosse da ben altri
interessi (i padroni). È la vecchia pantomima del qualunquismo: attaccare solo
il mondo della politica, omettendo di cogliere il rapporto servo-padrone che
sussiste, in ogni economia capitalistica, tra politica e capitalismo. La
manifestazione plastica di questa concezione si è avuta in occasione delle
dimissioni di Profumo da amministratore delegato di Unicredit, rispetto alle
quali Grillo ha difeso il banchiere sostenendone la levatura europea e la
presunta lontananza dalla politica. Anzitutto, bisognerebbe ricordare a Grillo
che lo stesso Profumo partecipò (in qualità di elettore) alle primarie del Pd
nel 2007; ma soprattutto bisognerebbe rammentargli che Profumo rappresenta
quella stretta minoranza di accaparratori (le banche private) che tiene sotto
scacco milioni di famiglie in tutto il mondo. Unicredit infatti è una delle
banche più ricche e forti su tutto il panorama perlomeno europeo. Inutile dire
che questo per Grillo risulta essere un aspetto secondario. Lo sdegno del suo
intervento successivo alle dimissioni del banchiere è stato rivolto non già alla
natura di classe dell’operato di un nemico delle masse come solo
l’amministratore delegato di un colosso bancario (Unicredit, nella fattispecie)
può essere; ma, al contrario, alle ingerenze della politica, segnatamente della
Lega, nell’amministrazione delle banche.
Tutto questo la dice lunga
sull’assoluta inconsistenza politica, in termini progressivi, dell’esperienza
del grillismo. E rende maggiormente manifesto lo sconquasso provocato
dall’opportunismo di quel che resta della socialdemocrazia italiana (Prc, Pdci,
Sel). Oltre a consentire ai poteri forti di macinare miliardi di profitti con la
copertura politica durante il governo Prodi, oggi, questa sinistra
indirettamente provoca l’affermazione sulla scena politica di un guitto
qualunquista e populista tanto moderato quanto effettivamente pericoloso perché
ingannatore di masse disorientate.
Conclusioni
In realtà questi movimenti-sfogatoio fanno
comodo ai padroni; buttano fumo negli occhi delle masse, senza evidentemente
mettere in discussione i principi-guida del sistema economico capitalistico.
Soltanto un vero partito anticapitalista e rivoluzionario, con influenza di
massa, è in grado di far comprendere quanto necessaria sia la lotta contro
l’intero sistema economico, e non soltanto contro il più marginale dei suoi
addentellati, vale a dire il sistema politico. È in questo senso che è
necessaria la costruzione di quel partito rivoluzionario che ancora non c’è e di
cui c’è un impellente bisogno.